I canali di comunicazione cercano di riproporre modelli che non funzionano più.

Come speaker della pubblicità, in questi giorni sono spesso chiamato a dare  voce a campagne che fanno leva sul nostro senso di appartenenza, sul nostro essere comunità, e alla fine, indirettamente, accrescere la reputazione del soggetto che si fa promotore della campagna stessa, sia esso una banca, un’industria automotive, un’azienda del settore agroalimentare.

Sono messaggi che non mirano direttamente a vendere un prodotto. Essi puntano a ribadire un senso collettivo del rimanere uniti, la necessità di vederci interconnessi, di fare sistema e quindi, indirettamente, conseguentemente, continuare a perpetuare la solita catena di comportamenti di consumo.

Queste occasioni nascono da persone che lavorano a casa, manager e responsabili d’azienda, che si relazionano con creativi d’agenzia sempre a casa, che poi parlano con video editor per creare le immagini e speaker della pubblicità come me per dare la voce al prodotto finale.

Come artista della voce mi sento, come sempre, anche in questo contesto domestico, l’ultimo anello della catena, la ciliegina sulla torta che viene chiamata a dare la propria “pennellata d’artista” a un lavoro lungo e complesso, creato dai professionisti della pubblicità. Tutto avviene in modo diverso, più lieve, con un senso di familiarità e di solidarietà che avvicina me al direttore creativo in un rapporto che fino a ieri si era un po’ perso.

In questo contesto mi sento improvvisamente un soggetto privilegiato: messo a parte di idee e pensieri nel loro flow: poter vedere dall’alto una campagna, prima ancora che venga dispiegata sui media, offre innumerevoli spunti di riflessione, in una prospettiva di lungo periodo, per pianificare chi saremo, partendo da quello che siamo. E non smetterò mai di ringraziare il mestiere di voce della pubblicità per offrirmi la possibilità di affacciarmi davanti a questi meravogliosi punti di osservazione.

Mentre continuo la mia vita distopica, mi nutro di informazioni compulsivamente attraverso tutti i media disponibili e mi comporto da bravo consumatore svuotando carrelli su Amazon e speakerando campagne di pubblicità, mi rendo conto che le nostre vite sono appese alla risposta a una serie di domande che non arriva mai: cosa cambierà del nostro mondo di un mese fa? Che tipo di società diventeremo? Come saranno strutturati i rapporti tra società e persone, tra attori economici e consumatori? Torneremo al “prima” come se nulla fosse oppure stiamo camminando in un nuovo territorio inesplorato?

Comprendere che nulla sarà più come prima velocizzerà la riprogettazione del futuro.

Quando parlo di uno scenario privilegiato, quello della voce della televisione, del doppiatore radiotelevisivo, mi riferisco essenzialmente alla possibilità di osservare il modo con il quale comunichiamo, notando i cambiamenti continui che hanno determinato la liquidità delle relazioni, dei codici linguistici con i quali interagiamo. Al contrario del relativamente lungo periodo di benessere radiotelevisivo, diciamo da quando la televisione commerciale ha cominciato a spopolare, più o meno dagli anni ottanta sino ai primi anni del duemila, nei quali vigevano regole precise, la formalità era un valore e il mestiere di comunicare poteva essere imparato, oggi importa di più saper esprimere una sensibilità acuta verso le necessità di ascolto e rispondervi con rapidità, in barba a dizione, regole, pratiche di apprendistato. “È il web, bellezza, e tu non ci puoi fare un bel niente”, direbbe Humphrey Bogart… 

Ritorno alle campagne di pubblicità che ho avuto il privilegio di doppiare nelle ultime due settimane: mi appare chiaro che rappresentano il tentativo di rassicurare una società impaurita, disorientata, cui neanche la sua classe dirigente è nelle condizioni di indicare la direzione. Figuriamoci se io ho risposte a queste preoccupazioni, sono terrorizzato come tutti. No, niente risposte, ormai mi conoscete: sono uno specialista nelle domande, e qualcuna, come voce narrante, me la posso ancora fare.

Di che cosa è fatto il nostro mestiere di doppiatori, voci della televisione, speaker della pubblicità? In quanto tali non siamo fatti per stare in casa. La nostra capacità di comunicare evolve in relazione alle esperienze che possiamo fare e a come esse incidono nella nostra esistenza. Il confronto di vissuti diversi e la conseguente attribuzione di un senso, sono fondamentali per definirci nel nostro cammino. 

Per questo il racconto, in tutte le sue forme, è uno strumento di fondamentale importanza, un’esigenza che si manifesta necessaria quanto respirare.

Ma se nulla accade, nulla può essere raccontato (ok, lasciatemi esasperare il concetto, tanto non fa niente).

A sperimentare e conseguentemente elaborare questo nuovo stato di dormienti domestici, cervelli agitati, nel quale ci troviamo oggi,  quanto tempo ci vuole? Una, due, tre settimane? Dopodiché possiamo crogiolarci nella scomposizione dei pensieri quotidiani, nelle tecniche di sopravvivenza che mettiamo in atto quando siamo @Home (a proposito, sto cercando di mettere in piedi un podcast su questo argomento), ma alla fine il loop dei pensieri genera cortocircuiti mentali e infine immobilità, noia, senso di inutilità (questa è la mia battaglia, ci intendiamo…).

Non siamo tutti filosofi o pensatori. Lo siamo nella distanza di centoquaranta caratteri di un post sui social, o nei trenta secondi di uno spot pubblicitario cui prestare anima e voce. Poi abbiamo bisogno di sentire l’aria sui capelli, il sale del mare sulla pelle, il piacere della seduzione, l’ebbrezza di una bevuta con gli amici, l’eccitazione di un lavoro di squadra per un grande obiettivo. Ecco perché in questo necessario periodo di autoisolamento ci sentiamo sterili, incapaci di reagire, progettare, gettare i ponti mentali tra questo stato di realtà e un futuro indefinibile (per ora).

La narrazione al centro e subito dopo veniamo noi attori doppiatori


Cambiamo argomento: nelle mie immersioni notturne sulle serie delle varie piattaforme on demand, resto veramente basito davanti alla pessima qualità del doppiaggio. Abbiamo voci fantastiche, che possono dare veramente tanto, in termini di emozioni, sfumature, senso… Siamo una delle categorie di attori più ricche di sensibilità e professionalmente rilevanti in circolazione. Eppure sviliti, negli ultimi anni nella corsa alla sostenibilità economica di un settore che è in grave difficoltà. Eppure supportare l’efficacia della narrazione, in un mondo che sta disperatamente ricercando un senso, non è forse un servizio di prima necessità? Dovremmo restare aperti per decreto. Ma non ce n’è bisogno: lo siamo già da casa con i nostri microfoni domestici, gli home studios, la nostra voglia di esprimerci.

Benché nella mia vita abbia trascorso un bel po’ di anni in uno studio di doppiaggio, ho deciso da tempo di non doppiare più. In questa scelta non voglio esprimere un giudizio, ci mancherebbe, quello che penso l’ho detto e credo anche sia condiviso da numerosi attori doppiatori italiani. La scelta è in parte conseguente al bisogno di dare un senso narrativo alla mia esistenza. E poi diciamoci la verità: sono stato per un po’ un talento promettente, poi mi sono arreso a scalare la montagna (così evitiamo polemiche). 

Tornando a quello che mi interessa, penso sinceramente che abbiamo una responsabilità in quanto artisti della voce e che le nostre specifiche professionalità possono mettersi al servizio di una nuova attribuzione di senso alla realtà.

Ho colleghe attrici che offrono versi poetici on demand al telefono, doppiatori che sono diventati podcaster (io ne sono un esempio), attori che si esibiscono in pièce teatrali in videoconferenza. E con essi autori, scrittori, sceneggiatori resistenti, sperimentanti, che provano a connettere esperienza a riflessione. L’una senza l’altra genera il loop nel quale oggi ci troviamo.

Sono entusiasta nel vedere persone, colleghe e colleghi che continuano a progettare, a pensare a nuovi scenari, nuove possibilità. Alla fine ogni percorso ritorna a quei meravigliosi meccanismi che ci definiscono in quanto umani: emozioni che si generano durante il nostro cammino.

In questo mi sento di dire che non dobbiamo aver paura: chiunque avrà sempre bisogno di noi attori doppiatori, speaker pubblicitari, voci della televisione, lettori di audiolibri, podcaster, teatranti, cinematografari, voci della radio e del web. A patto che ci riconnettiamo con un senso condiviso lungo il nostro cammino

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