Podcast, blog, audiolibri: opportunità per chi lavora con la voce: ma abbiamo tutto questo tempo?

Una delle riflessioni ricorrenti in questo periodo di isolamento forzato riguarda il senso di spossatezza che ci coglie a fine giornata, trascorsa in modalità iperattiva, tra tracce di lavoro, esercizi fisici in salotto, sessioni di cooking show personali e piccole manutenzioni domestiche. Per non contare le lunghe permanenze televisive davanti alla conferenza stampa serale con i conteggi vari a confondere ulteriormente le idee. Ho già affrontato il tema di come i podcaster e le voci della pubblicità in genere possono coglilere un’opportunità in questo contesto. Ma quale? Io sono riuscito a completare un paio di libri a malapena in queste due settimane. E normalmente mi considero un vorace lettore… Ascolto poca musica, qualche podcast ogni tanto. Non mi concedo tempo libero per rasserenare la testa. Perché dovrei pensare che il mondo sia lì fuori pronto ad ascoltare la mia voce? Risposta immediata: farlo per noi stessi. Per affondare le unghie nei pensieri e costringerli a rivelarci una risposta definitiva, una direzione che ci porti da qualche parte, che non sia il limbo dello scorrimento di un feed o degli annunci pubblicitari da skippare tra un sito di news e l’altro.

La consistency predicata dal mondo dei podcast riguarda anche noi voci del doppiaggio e ci pone davanti a uno sforzo sovrumano nel dare corpo alla voce, senso a una forma. Essere solo voci: per alcuni basta, per altri no…

Conosco doppiatori affermati che hanno aperto la loro casa di produzione, altri che hanno provato la strada della regia cinematografica, altri ancora che si sono messi a scrivere romanzi, altri che non ci pensano minimamente e si dedicano all’arte di star bene con i piedi a mollo in una spiaggia.

È in momenti del genere, quando mancano i “progettisti” di ciò cui una voce della televisione o del web dà forma, che all’attore si pone il fatidico problema: ho una bella voce, sono un bravo interprete, ho microfono e home studio. E adesso?

 L’attore, il doppiatore, la voce della pubblicità si nutre di realtà.

Le voci italiane più famose hanno sempre rappresentato un filtro tra il mondo che sono chiamati a interpretare e la realtà. Come un attore, più di un attore (non me ne vorranno gli amici attori della cui categoria faccio parte). Perché? Un attore mette in gioco il proprio patrimonio autobiografico, ma soprattutto ha necessità di svuotarsi per accogliere dentro di sé il personaggio generato dall’autore. Nel caso della voce della pubblicità, della voce della radio, questo tempo non esiste. L’attore al microfono deve far leva sul proprio vissuto per dare immediate risposte emotive agli script proposti da copywriter, produttori, sceneggiatori. Deve essere immediatamente disponibile a offrire tutte le sue sfumature. Ovvio che pagherà un prezzo, quello di una certa omologazione al campionario abituale delle emozioni. Rabbia, felicità, disgusto, tristezza, per parlare delle primarie, possono essere arricchite di innumerevoli sfumature. E il mondo delle voci della pubblicità ne mette a disposizione solo una minima parte, a essere sinceri.

Come facciamo allora da casa a ricaricarci di esperienze, di emozioni, per essere sempre elastici, sfumati, arricchenti? Non perdiamo mai di vista la nostra vera forza, riconosciuta da ogni buon professionista della pubblicità: la voce degli spot è un medium essenziale per portare il messaggio a destinazione, sia sul web che attraverso i media tradizionali, la parola scritta viene potenziata dalle intenzioni. 

In queste settimane cerco di leggere, ascoltare podcast, vedere serie televisive, scrivere e interpretare questi articoli mi permette di esternare pensieri e ragionamenti che muovono inconsciamente i miei comportamenti tutti i giorni. In attesa che il grande lockdown termini e che possiamo ritornare a volare…

Intanto le giornate scorrono più frenetiche

Non so voi, io a volte termino le mie giornate più spossato di quando il grande stop non era che uno spauracchio. Tra call, sessioni di registrazione nel mio home studio, collegamenti con creativi che vogliono seguire giustamente la registrazione di un testo pubblicitario. Alla fine mi accorgo che è già sera e la mia testa è pressata dentro un maglio fatto di smartphone, cuffiette, computer e ipad.

In questi momenti mi maledico per non avere creato spazi apposta dedicati alla lettura, al movimento fisico (per chi è fortunato ad avere uno spazio in casa), alla meditazione.

Occorre concedere un ritmo alla giornata, fatto di angoli dove praticare certe attività, o quantomeno spazi mentali: anche sedere a un capo del tavolo per lavorare e all’altro per nutrirsi può avere un senso. Tutto questo le nostre voci lo racconteranno al microfono, lo so per certo, come sono certo che migliaia di narratori si stanno proprio ora dedicando a scandagliare nel profondo ogni singola emozione degli spazi mentali che si creano nella nostra condizione così particolare di reclusi – non reclusi: in fondo siamo solo a casa, ben nutriti e paffuti (forse troppo!).

Offrire un senso: elogio del silenzio

Concludo questo mio omaggio al tempo, che scorre inesorabile sia che noi siamo in grado di dargli un senso o meno, con l’elogio del silenzio. Curioso per un attore doppiatore che fa della voce uno strumento di lavoro, vero?

Torno sul tema di fondo: per restituire occorre riempirsi. Di suoni, di dettagli. Mai come in questi giorni ho ascoltato i rumori. Le macchine degli addetti al ritiro della spazzatura, con il bip bip che testimonia l’aggancio dei cassonetti e il loro scarico. L’eco dei cani che dai balconi si chiamano, si salutano, a volte oggetto di maledizioni dagli amanti del silenzio assoluto. I primi corteggiamenti dei merli all’alba, che erano anni che non ne sentivo più. E, ebbene sì, anche le sirene delle ambulanze che mettono angoscia nel loro passaggio nervoso verso gli ospedali.

Fino ai rumori più sottili: il compressore del frigorifero che attacca e stacca in cucina, il glu glu del termosifone che carica l’acqua di primo mattino.

Smartphone, tablet, computer sono rigorosamente in modalità silenziosa. Solo la meccanica della mia tastiera a farmi compagnia. Diventa una musica, quando sono ispirato. Tra breve una nuova registrazione. Sarò la voce di un promo televisivo. Monto l’attrezzatura, chiudo la cabina insonorizzata e vado in sessione.

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