Il mito è caduto. È nata una nuova categoria di voci della pubblicità: quella degli everyday football heroes.

Con la serie Amazon “the Boys”, si è finalmente consumato lo strappo per intero: non è più una frustrazione, per noi comuni mortali, sentirci imperfetti o ambire inutilmente alla perfezione. Nessuno è perfetto, dunque siamo tutti avvicinabili alla divinità. Vale per i cittadini digitali, vale per noi figure professionali che, con le nostre voci della pubblicità, siamo ora al servizio di tutti gli “everymen” che interpretano il proprio sogno… ogni giorno.

Da diversi anni, oramai, i media hanno messo sul palcoscenico un’altra categoria di attori. Elettricisti, impiegati, bagnini, consulenti, autisti, infermieri, eccetera, eccetera. Si esaltano “Very normal people”, ci convincono che “il protagonista sei tu”. E in effetti è proprio così. Sono stato chiamato, come voce pubblicitaria “storica” del brand Nivea, a interpretare la nuova campagna dedicata agli eroi quotidiani del calcetto. In questa occasione usare la voce per lavoro è stato ancora più difficile, se possibile. Perché? Beh, essere chiamati a interpretare un contesto nel quale tutti noi ci siamo potuti identificare, quello della partita settimanale di calcetto, utilizzando un’intenzione di voce drammatica, come se il set fosse quello di un epic movie, ha dato vita a un divertente gioco di contrasti. In fondo è così che funziona: siamo noi il movimento che porta ai vertici qualche centinaio di calciatori fuoriclasse. Noi, con le nostre partitelle, che ci cambiamo all’interno di spogliatoi ammuffiti, che se la palla finisce sul tetto, finisce la partita…

Usare la voce per lavoro significa mettersi al servizio dell’idea creativa, essere disposti a diventare strumento di un’idea.

L’atmosfera, nello studio di registrazione, è abbstanza eccitante: una nuova agenzia aveva elaborato un progetto creativo veraemente unico; i testimonial, normalmente atleti di squadre blasonate di Serie A, hanno lasciato il posto a persone vere, selezionate con la tecnica dello street casting. Nei fotogrammi dello spot pubblicitario di cui sono la voce ufficiale, non vedevo più fisici muscolari e statuari, ma gambe poco scolpite, pancette e fisionomie tarchiate di gente comune, che per l’ora e mezza del giovedi sera si trasformano in campioni.

Nello studio mi trovo davanti il cliente, almeno tre persone, l’agenzia (direttrice creativa e copy e producer), Margherita, la mia sound designer preferita e, come al solito, resto alla fine solo dietro il vetro e davanti al microfono.

Inizia lentamente la danza della ricerca del registro più adatto allo spirito leggero e ironico della campagna. Lo facciamo “serioso”, cioè epico, muscolare… o più credibilmente normale, come sarebbe più giusto, per rendere in tutto armonico e in linea con l’effetto empatico che si voleva generare? Oggi non c’è più la necessità di scegliere, ci si porta a casa tutto e possibilmente in fretta. la facciamo in entrambe le maniere. L’importanza della voce in uno spot pubblicitario, in questi casi si palpa nell’aria. Tutti sono concentrati sul risultato finale, sull’effetto che è necessario generare per “la prima volta” per tutti: agenzia, cliente. Solo io ero il “veterano” della squadra e, se vi va di credermi, proprio per questo davanti a un compito che definire difficile è un eufemismo: fin troppo facile appoggiarsi alle intenzioni abituali che ho sempre offerto a Nivea negli ultimi anni. Forse il cliente, l’agenzia, non vuole questo. E io, men che meno, non ho la minima intenzione che, come speaker pubblicitario, possa essere definito quello che ha le stesse espressioni di Eastwood per Sergio Leone: con cappello o senza. Iniziamo quindi la grade giostra delle take, considerato un soggetto “manifesto” e diversi soggetti prodotto da declinare in differenti modalità.

Uno dei soggetti della campagna pubblicitaria con la voce di Giacomo Zito

Lo speaker è l’ultimo sopravvisuto di un’epica pubblicitaria, il ponte ideale tra eroi e nuovi “everyday heroes”.

Alla fine questa campagna degli Everyday Football Heroes by Nivea va a riempire gli hard disc della cdp con gigabyte di files della mia voce pubblicitaria, meno pubblicitaria, più epica, più normale, più ironica e via dicendo: “cercasi voce pubblicitaria”, sembrerebbe il titolo di questo film. Ma stavolta è il “mio film”. Stanco ma divertito: non capita spesso di trovarsi un pubblico disponibile a essere stupito, a non dare nulla per scontato. La delivery della mia voce che è stata alla fine scelta la lascio giudicare a voi che mi leggete e, spero tra poco, ascoltate.

Ancora una volta a metà strada tra l’ironico e l’epico, il serio e il faceto, com’è giusto che sia.

Mi piace l’idea di essere voce pubblicitaria di una serie di soggetti, di un team creativo guidato da una direttrice che sa quello che vuole ma che è disposta ad ascoltare la cliente e a confrontarsi onestamente sul risultato (insomma mi è piaciuta perché una che detesta la massima “il cliente ha sempre ragione”, che distingue un grande pubblicitario da uno mediocre). Mi piace l’idea di essere ancora in sella, come voce della pubblicità di Nivea, anche in questo fine 2019 che sembra quasi la fine del mondo.

La campagna parte dal basso e decide se approdare in tv: la voce della pubblicità ringrazia…

La campagna pubblicitaria va in archivio con lo strappo della fiche, che poi è il mio contratto, l’ennesima caramella rubata dal cesto e via per il prossimo appuntamento. Vengo informato che la campagna è digital, che parte con una programmazione sul web, coi preroll, con le inserzioni sui siti, sui feed di FB per un pubblico di addicted del calcetto.

Rifletto sulle campagne di qualche anno fa, sulle reti televisive, sulle piccole contabilità che formavano grossi budget. I tempi sono cambiati e i pubblici sono liquidi, come liquide sono le logiche che portano a uno speaker pubblicitario di essere preferito a un “everyday voiceover talent”, per stare in linea con la strategia di comunicazione.

Passato qualche giorno, ho già dimenticato l’eccitazione. Siamo animali da microfono, se mettiamo qualche distanza tra noi e la capsula, perdiamo tutta la carica endorfinica. Il ricordo si stempera, persino i contenuti sono difficili da rievocare. Ricevo la mail di Marco, che mi informa che la campagna pubblicitaria Nivea ha avuto un notevole successo e il cliente vuole programmare un flight televisivo. Qualche rete, qualche settimana. Sono soddisfatto di aver partecipato a un progetto che ha del senso, che in fondo lancia un messaggio sano: i testimonial non sono i personaggi famosi, i talent di cui si parla tanto. I testimonial siamo noi. Io, Giacomo, professione speaker pubblicitario, tu, Francesca, fidanzata del portiere, Alfredo, che ha dimenticato le scarpe da calcetto e gioca con i mocassini. Siamo noi, eroi di tutti i giorni. Fino a quando  non cambieranno ancora una volta i tempi, le sensibilità. Fino a quando quella spugna capace di assorbire ogni cambiamento della società intercetterà un nuovo “momentum” e ce lo sparerà sui nostri device, sui nostri schermi. “È l’arte del doppiatore della pubblicità, bellezza, e tu non ci puoi fare niente”.

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