La breve storia di un fenomeno che ha cambiato il modo di lavorare nello speakeraggio professionale.

Con l’avvento di internet se ne è cominciato a parlare. Americani e inglesi sono stati i primi a dotarsi di microfono e piccole strutture audio in casa per supportare le necessità di un mercato in grande espansione. Era la metà degli anni novanta. Internet andava avanti ancora a 48K e un file audio era una montagna incapace di passare per la cruna dell’ago. Tuttavia, quello che nel mondo anglosassone è chiamato voice talent, ovvero la voce professionale, era già sensibile alla necessità di rispondere velocemente a esigenze, come quella di una voce per presentazione, e per questo si era dotato di microfono, preamplificatore, DAW per registrare i files, codec isdn e una buona dose di cuscini e coperte per evitare le riflessioni del microfono nella stanza. Ricordo bene uno dei migliori speaker inglesi, assai rinomato in UK, Mike Hurley, il primo a scrivere un libro sulla professione della voce della pubblicità, intitolato “confession of a vocal prostitute” (titolo che si traduce da solo), che subiva inerme i lamenti del figlioletto, allora un bimbo, che sudava sotto la coperta nella quale il papà lo aveva costretto a stare per registrare uno spot in collegamento ISDN audio con l’Italia, dove, come piccoli pionieri, eravamo raccolti io, i producer, i pubblicitari e i clienti, increduli di poter fare una registrazione in collegamento col salotto in un villino del Surrey con il doppiatore più famoso del Regno Unito. Era il primo esempio di smart working ante litteram. Allora un’attrezzatura audio per registrare richiedeva un investimento importante, intorno ai 30 milioni delle vecchie lire, almeno. Una soglia di ingresso importante, che sbarrava la strada a tutti i giovani professionisti che si affacciavano al lavoro della voce professionista per la prima volta. Mentre per le voci della pubblicità  più importanti, quelle per intenderci che nello speakeraggio in italiano fatturavano abbastanza da giustificare l’investimento, gli scrupoli nell’affrontare con decisione il grande passo erano di diversa natura. Se vi chiedete quanto guadagna un doppiatore, vi risponderò “abbastanza da giustificare ogni tipo di investimento in questo settore.”

Un ambiente elitario, quello della registrazione di voci della pubblicità, nel quale la complicità gioca un ruolo cruciale.

Essere uno speaker affermato significava, alla fine degli anni novanta e nei primi duemila, gestire con grande attenzione le proprie relazioni con i creativi, i produttori, i sound designer che allora si chiamavano ancora fonici di sala. Rispettare la gerarchia che portava gli uni a esprimere un’esigenza, quella della voce giusta per uno spot, a dare una risposta attraverso un casting voci personalizzato, ad organizzare la sessione di registrazione in studio, con le varie convocazioni degli speaker pubblicitari, era fondamentale.

Lo studio di registrazione fatto in casa, in qualche modo, era vissuta come una minaccia da parte di coloro che facevano parte di questa cerchia ristretta. Attorno alla scelta delle voci della pubblicità si era innestato un know how esclusivo che determinava vantaggi competitivi nel mercato: “io conosco dei talenti che gli altri non conoscono”. I numeri dei primi cellulari delle voci della pubblicità venivano scambiati dai produttori come figurine di una collezione rarissima.

A questo certamente si innestava un aspetto di legittimo opportunismo che portava i produttori da un lato a sfruttare la presenza di voice actor dotati di home recording studio all’estero, in favore di un mercato di localizzazioni in lingua straniera che stava lentamente prendendo piede, dall’altro a mantenere la stretta sugli attori doppiatori voci della pubblicità italiani più famosi, che non pensavano minimamente all’opportunità di dotarsi di un’attrezzatura domestica che avrebbe fatto risparmiare tempo, denaro, e avrebbe moltiplicato le opportunità di business per tutte le voci della pubblicità.

Con la rivoluzione del web, le informazioni sono alla portata di tutti e il mestiere della voce della pubblicità viaggia sulla rete.

Con l’imporsi della rete e della connessione veloce, il mestiere della voce del doppiaggio pubblicitario diventa liquido, accessibile. Un file audio non deve più passare dal giogo di una connessione a 44kbit, scambiarsi files diventa un gioco da ragazzi. In più i costi di un setup tecnico crollano vertiginosamente rendendo lo speakeraggio on line una realtà. Non servono più costosissimi codec audio isdn per stabilire connessioni audio remote, e un computer registra come la sala di registrazione più attrezzata. Una rivoluzione tecnologica e di know how che permette l’ingresso nel mercato delle voci pubblicitarie di numerosi giovani soggetti, agguerriti e dal talento più o meno riconoscibile, rapportabile senz’altro al tipo di lavoro che si moltiplica con l’espandersi vertiginoso dei social media.

Video social, aziendali, pubblicità locali, audiolibri, narrazioni, sono i nuovi prodotti che richiedono una voce narrante, un lettore professionista, una voce del doppiaggio capace di dare profondità ai contenuti. Naturalmente il basso budget di queste produzioni non permette il mantenimento di cachet considerati importanti fino al giorno prima. E la destrutturazione di un mondo elitario e ricco come quello delle voci della pubblicità è servita. Inutile appellarsi alla qualità, alla capacità interpretativa, al gioco di sfumature che un attore doppiatore della pubblicità può esprimere rispetto a un collega. Innanzitutto vige la regola del prezzo: deve essere basso. Allora possiamo parlare di qualità. Lo studio di registrazione fatto in casa diventa allora l’arma necessaria per offrire un servizio in più basato sulla reperibilità, disponibilità, un “fast turnaround time”, come dicono gli anglosassoni. E i progetti possono anche riguardare le voci professionali per segreteria telefonica: c’è poco da storcere il naso…

Le cabine armadio (per i più fortunati) diventano allora luoghi dove ospitare accanto a giacche e cappotti, luccicanti Neumann avvitati ad aste, cavi, cuffie e preamplificatori. Nasce lo speaker pubblicitario itinerante, come anche la figura del sound designer (un tempo fonico, dicevamo) nomade, con il suo MacBook pro e protools installato.

Per l’attore doppiatore pubblicitario avere lo studio in casa è una commodity che rende il lavoro del voice actor ancora ricco di opportunità.

Con il crescere delle opportunità di lavoro per una voce professionista, anche la velocità di risposta a esigenza di basso budget diventa strategico per riempire la capacità finita di ciascuno e di conseguenza dare un senso alla professione della voce di spot. Per coloro che hanno bisogno di prodotti audio come narrazioni, audiolibri e commenti a video. Il web rende visibili tutti gli attori doppiatori della pubblicità, e il casting voci non è più un servizio esclusivo riservato a produttori intraprendenti: tutti possono decidere tra decine e decine di voci pubblicitarie con home studio, quella che risponde al meglio alle proprie esigenze.

Anche i produttori ringraziano, laddove le grandi campagne pubblicitarie sono soggette sempre al rischio dei rifacimenti, e laddove la voce pubblicitaria ha lo studio in casa, permettere veloci pratiche di aggiustamento e il risparmio di un sacco di soldi.

Pertanto ben venga lo studio in casa, sotto le coperte o ben attrezzato, per i più fortunati, un’altra espressione del lavoro liquido per voice talent cui è richiesto ben di più di un talento artistico spesso maturato in anni di preparazione professionale davanti al microfono. Ma intraprendenza, proattività, un po’ di tecnica, e tanta voglia di mettersi in gioco.

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