Le mille strade per diventare una voce di riferimento nella pubblicità

Posto che non esiste una vera professione dello speaker, possiamo immaginare le modalità con le quali, quasi improvvisamente, ci si trova a essere considerati speaker di riferimento nel panorama della pubblicità in Italia. Fino a qualche tempo fa, per diventare speaker di spot pubblicitari le strade, almeno nell’esperienza del sottoscritto, erano due: la radio o il doppiaggio.

Si tratta di due percorsi molto diversi l’uno dall’altro che tuttavia hanno elementi comuni, tra cui anni ed anni di esperienza davanti al microfono. Poco importa che si tratti di attori preparati a leggere un copione o performer radiofonici abituati all’improvvisazione. Conosco sia validi attori che ottimi DJ che sono diventati speaker. Quanto a me… appartengo a una generazione di mezzo, nata come DJ in radio e formatasi in scuola di recitazione. Come vedete i mondi si contaminano generando in qualche modo competenze che si fondono in un’unica professionalità. Ma quale driver deve guidare chi vuole lavorare come speaker pubblicitario? No, cari amici, i soldi non sono un motivo sufficiente. 

Inoltre è da sfatare il mito che vuole lo speaker pubblicitario guadagnare cifre astronomiche: non è più il tempo dei mitici anni ’90 che si sono sgretolati lentamente dal crollo delle Twin Towers sino al fallimento della Lehman Brothers nel 2008.

Allora torniamo all’argomento principale: come ti ritrovi d’improvviso uno speaker pubblicitario?

Essere uno speaker spesso è la punta di un iceberg molto più vasto: cosa vuoi diventare da grande?

È difficile escrivere con esattezza cosa anima un attore o un host radiofonico a dedicarsi completamente all’arte della recitazione a microfono, sperimentando i mille modi attraverso i quali è possibile esprimersi e alla fine ritrovarsi a lavorare come speaker pubblicitario. Di certo una profonda necessità di affermazione, di affermarsi attraverso sensibilità che riescono ad emergere spesso solo con l’uso delle corde vocali. In qualche modo la voce è lo specchio dell’anima, la porta di accesso a personalità differenti, capace di superare il linguaggio del corpo, così dipendente da stereotipi di bellezza o semplicemente di corrispondenza tra forma e contenuto. 

Attraverso la voce si può essere chi si vuole. E spesso uno speaker pubblicitario è considerato più versatile e capace quanto più è in grado di interpretare diversi colori e caratteri.

Spesso ho l’opportunità di guidare percorsi di coaching sull’uso della voce per professionisti che non sono di questo mondo. E l’approccio al microfono permette di dischiudere risvolti inaspettati. È sorprendente non solo per il pubblico ma soprattutto per chi usa la voce in modalità diverse. Questa “riscoperta” episodica per gli speaker non professionisti, è il campo di sperimentazione del professionista, sempre in cerca di nuove modalità per utilizzare la propria voce in sintonia con quel bagaglio immateriale e sempre disponibile che io definisco come “l’esperienza autobiografica”.

E qui arrivo al cuore del concetto. Puoi diventare uno speaker pubblicitario, usare al meglio la tua bella voce, renderla impeccabile dal punto di vista formale. Ma sono le emozioni che generano la differenza, sono quelle impercettibili sfumature che fanno vivere una voce anche quando pronuncia banalità rivolte a invitare all’acquisto di un prodotto. E quella roba lì non te la puoi inventare di punto in bianco. La devi avere vissuta. 

Che cosa vuoi diventare adesso? È un gioco quasi infantile: facciamo finta che io sia un eroe, oppure un folletto un po’ svitato, che sia un amante languido o chissà chi. È un gioco per il quale hai due possibilità: o entri nel personaggio secondo un metodo che richiede lacrime, sangue e tempo, tanto tempo, o ti affidi alla tua esperienza autobiografica e utilizzi ciò che hai vissuto nella vita reale per restituire emozioni credibili davanti a un microfono.

Ecco, l’ho detto. Credo che sia questa l’essenza dell’essere un vero speaker pubblicitario. Tutto il resto è un po’ posticcio.

La pubblicità è sempre a caccia di nuove proposte e di nuove tendenze. Siete pronti a mettervi in gioco?

Poi ci sono quei creativi che scrivono i loro progetti con in mente esattamente il personaggio che ha la voce che vogliono usare, chessò: la ragazza della porta accanto, il ragazzo al chiosco dei gelati, la cotta presa davanti alla scuola. E allora ben venga l’abitudine abbastanza consolidata di cercare i protagonisti vocali delle pubblicità nella vita reale.

Parliamo ovviamemente degli “speaker per uno spot”, voci che sono fondamentalemente sé stesse perché non potrebbero essere alcun altro. Tassista? Pilota di aerei? Casalinga? Ingegnere? Ecco, quella roba lì.

Nel panorama dei produttori di spot radiofonici  italiani ci sono dei registi che si sono specializzati nel ricercare voci di questo genere, che si portano appresso in modo del tutto naturale un modo di interpretare unico, personale, inconfondibile.

Alcuni di loro vivono un momento di gloria dato dal meccanismo di emulazione che da sempre muove la pubblicità: uno spot va bene con quella voce? Ecco che ne spunta un altro e un altro e un altro ancora. È normale, è l’effetto emulazione che ha il sopravvento, meglio conosciuto come: “squadra che vince non si cambia”.

Per sopravvivere in un mercato altamente competitivo dove la realtà entra prepotentemente nella finzione anche pubblicitaria, perché siamo tutti permanentemente in un reality, bisogna maturare caratteristiche di professionalità che vanno molto oltre la semplice sfumatura vocale. Vediamo quali.

Professionalità nello speaker pubblicitario è anche…

La versatilità innanzitutto. Essere capaci di interpretare in modo credibile diversi personaggi e utilizzare diverse intenzioni è un prerequisito che permette di cogliere molte più opportunità. Possibilmente senza apparire stereotipati come nelle più comuni pubblicità di provincia (con tutto il rispetto per chi le fa). Poi ci sono gli attributi dello speaker professionista. 

Curare la propria voce, per evitare di arrivare afono all’appuntamento perché la sera prima si è alzato un po’ il gomito con gli amici (sembra scontato ma così non è).

E ancora la puntualità. Arrivare un quarto d’ora prima è sempre un valore, anche se l’artista-che-arriva-sempre-in-ritardo fa tanto bohemienne. Se non ti chiami Giancarlo Giannini, alla fine l’account, il direttore creativo, il producer e il cliente sono persone normali e va a finire che si incazzano per davvero! Sei uno speaker per spot pubblicitari, non una star di Hollywood!

Una certa capacità di gestire la propria immagine. Senza farvi venire ansie da comunicazione digitale, è importante far conoscere i propri progetti e le proprie attività alla comunità social professionale!

Infine è fondamentale aver sviluppato una sensibilità e conseguentemente un lessico che ti permetta di interlocuire con i referenti e comprendere appieno che cosa hanno in mente per il loro progetto. La frase fatta “fammela un po’ più blu” non è nata dal nulla. E certamente lo speaker pubblicitario che ha saputo farla “più blu” nella mente del suo committente, ha ottenuto un grande ritorno in reputazione.

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