La flessibilità per un professionista della voce è una qualità sempre più strategica

C’era un tempo nel quale per lo speaker italiano della pubblicità il fattore chiave era la propria desiderabilità sul mercato. Contava di più farsi scoprire dal producer, ovvero fare in modo che il proprio talento venisse individuato e riconosciuto dagli altri, piuttosto che essere oggetto di un’attività di comunicazione dello stesso artista nei confronti del mercato. Anzi: questo genere di attività ha sempre qualificato una categoria di professionisti della voce – passatemi il termine –  poco “nobile”, più votata all’azione di promozione commerciale, che alla ricerca artistica vera e propria. 

La “purezza” e nobiltà artistica della voce pubblicità è un ossimoro, indubbiamente. Siamo al servizio della pubblicità e dell’audio per scopi commerciali, non è un segreto, così come non è un mistero che molti di coloro che fanno il mestiere del doppiatore pubblicitario, non hanno un profilo di studio e di tipo artistico così evoluto da permettersi di considerare questa attività come un semplice compendio di un lavoro ben più importante.

Insomma, i soldi non dispiacciono a nessuno e non vi trovo nulla di male (anzi) nel valorizzare la propria voce pubblicitaria per progetti al servizio della promozione pubblicitaria.

Ricordo una storiella che circolava qualche anno fa su una voce del doppiaggio famosissima, appartenente a un attore tra i pochi in Italia che è riuscito a varcare i confini del nostro Paese (non cito il nome perché dovrebbe venirvi in mente quasi istantaneamente). Ebbene, questo collega super blasonato era stato convocato per una registrazione di uno spot. Cliente, agenzia, casa di produzione e studio erano tutti pronti per accogliere quella voce della pubblicità cosi straordinaria, con un misto di ammirazione e rispetto.

Al termine della registrazione abbastanza svogliata, volendo far capire che era tempo di chiudere la sessione, la voce famosa diede espressione di insofferenza.

Quando il producer pronunciò la fatidica frase: “ studio libero”, l’attore si fece scappare, a microfoni ancora aperti, la battuta: “Bene, adesso posso andare a lavorare!”. Facendo chiaramente intendere che quello che aveva fatto sino a quel momento era considerabile tutto, fuorché lavoro vero. 

Un piccolo e sottile gesto di disprezzo che non mancò di sorprendere tutti i presenti, che fino a quel momento avevano cercato di fornire all’interprete intenzioni, toni, ricerca che, oggettivamente, non avevano alcun riscontro con il risultato.

L’artista della voce è sempre meno propenso ad accettare l’imprevisto

Le cose sono dunque cambiate. Offrire la propria voce da speaker professionista per un progetto commerciale, un video, uno spot, un messaggio pubblicitario per il cinema, è anzi considerabile un gesto intelligente, frutto di analisi, valutazione delle proprie possibilità, coscienza delle proprie potenzialità artistiche. In qualche modo è la nostra merce e dobbiamo comunicarla al meglio. Proprio così.

Da una parte dunque ci si espone di più sul mercato, dall’altra la voce della pubblicità viene considerata alla stregua di una vera e propria merce che si può provare, valutare, eventualmente acquistare, ma anche ritornare al mittente come se niente fosse. Amazon, come ci hai trasformati!

Perché non dovrebbe valere anche per noi la regola “soddisfatti o rimborsati”? 

Posto che il rispetto per la componente lavoro della nostra prestazione è assolutamente da garantire, trovo corretto che il cliente possa in qualche modo contestare il valore della voce pubblicitaria. A noi fare in modo che non accada. In questo articolo, tuttavia, parliamo di flessibilità, che si ottiene attraverso la comprensione delle necessità, la disponibilità a mettersi a disposizione per ogni tipo di modifica venisse richiesta, anche la possibilità di non inalberarsi laddove si scoprisse che il cliente si era sbagliato e aveva preso una cantonata scegliendoci da un ricco e approfondito casting voci.

Ci siete? E allora vediamo quali sono le dinamiche nel nostro cervello che si instaurano quando siamo “opzionati” (brutta parola, vero?) per un lavoro di voce pubblicitaria.

Quando si viene chiamati per un casting voci di pubblicità, si attiva tipicamente un effetto adrenalinico di soddisfazione, che alimenta il proprio ego, che definisce un traguardo di una vita trascorsa a fare provini, a esercitarsi al microfono, a scoprire e apprendere tutte le tecniche della voce professionista. Pensiamo sempre possa trattarsi dell’inizio di un rapporto professionale, o della continuazione trionfale di un rapporto già rodato. Questo, almeno, sino a quando non arriva la telefonata – o peggio – il whatsup che disdice l’opzione con una frase di rito: “alla prossima!”.

La delusione conseguente è pari all’entusiasmo precedente. Si cade in una depressione profonda fatta di autoaccuse: “Ecco, non sono lo speaker pubblicitario che credevo, sono un cane, nessuno mi chiamerà più, eccetera, eccetera.” Tutto vero? No, tutto sbagliato. 

Il mondo della voce pubblicitaria, del voiceover per video, è determinato da regole che non possiamo prevedere, le variabili sono numerose e immaginare le ragioni per le quali veniamo scelti o – peggio – scartati da un casting voci è una pretesa che non si può oggettivamente soddisfare. 

Insomma: il curriculum lo fa ciò che abbiamo fatto e non ciò che faremo. Pertanto, proviamo a guardarci indietro e scopriremo di che pasta è fatta la nostra carriera di speaker italiani della pubblicità.

Esiste un antidoto all’ansia: aprirsi all’apparente casualità

Meno male che ci vengono incontro gli strumenti digitali, perché vedere una vecchia moleskine martoriata di cancellature per opzioni di voiceover per la pubblicità mancate, è davvero uno strazio. Oggi con le agende elettroniche possiamo cancellare e rimettere opzioni, accordare una possibilità, segnare un rifacimento, e mostrarci leggeri e disponibili davanti alle mille volubilità dell’industria dello speakeraggio pubblicitario.

“Sei libero mercoledi alle 11,00 e giovedi alle 13.00? Bene! Allora mettimi le opzioni, ti faccio sapere”. 

Diventiamo dunque flutti in preda alle onde delle approvazioni, di clienti che non sanno se registrare con una voiceover professionista donna, o con una voce della pubblicità maschile. O magari stanno facendo questioni su una parola del testo, o aspettano la conferma del cliente.

Vai a sapere!

Aprirsi all’apparente casualità di questo mondo è l’unico antidoto a questa ansia che prende lo speaker pubblicitario sia che riceva un’opzione, sia che non la riceva. Entriamo così nella filosofia quotidiana dello speaker pubblicitario,  con un decalogo da rispettare religiosamente:

1 accettare ogni richiesta di opzione anche se viene fatta in orari impossibili e in barba a ogni principio di buona educazione

2 rispondere all’immancabile disdetta della convocazione con una risposta entusiasta che dimostra quanto siamo felici: “figurati, nessun problema, avevo un’altra opzione che mi hanno confermato e non sapevo come dirtelo!”

3 mostrarsi disponibili dopo lunga e attenta analisi della propria agenda con frasi tipo: “aspetta che controllo… allora avrei un’altro speakeraggio pubblicitario a quell’ora ma posso spostarlo, nessun problema.

4 dichiararsi pronti a qualsiasi modifica del testo, rework, retake o qualunque altra parola che cominci con “re”

5 definirsi professionisti della voce in qualsiasi circostanza, pertanto dimostrare l’approccio professionale anche davanti alla non professionalità dei vostri interlocutori

6 evitare le frasi killer: “non puoi disdirmi uno speakeraggio pubblicitario dalla mattina alla sera”. Possono eccome.

7 Evitare di mostrare la spunta dei messaggini whatsup senza rispondere. Ti sentirai dire: “perché non mi hai risposto”?

8 Non sollecitare mai la risposta definitiva all’opzione. Se non ti chiamano un motivo ci sarà. Salvo poi dimenticarsene completamente

9 Non mandarsi Whatsup e non chiamarsi dai telefoni fissi per verificare che il tuo smartphone funzioni. Funziona sempre. Il problema è che non ti chiamano

10 Fare un corso di narcisismo accelerato per curare amor proprio e sopportare i periodi di astinenza.

Ci sarebbe un’altra dozzina di regole per lo speaker pubblicitario dei nostri tempi. Ma val bene una parola magica molto inflazionata: buona resilienza a tutti!